Quando il lavoro è una gabbia che ci limita

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“Passavano i mesi e continuava a sfuggirmi il motivo per cui mi trovassi lì dentro. Mi sfuggiva il senso del mio lavoro, mi sfuggiva tutto. Continuavo a ripetermi, forse per rassicurarmi, che avrei compreso meglio con il tempo.

Chiedevo ai miei genitori, grandissimi sponsor del lavoro sicuro e con una grande esperienza alle spalle nel lavoro pubblico, se tutto quello che vedevo e sentivo giorno per giorno fosse “reale” o soltanto una mia impressione superficiale. O meglio, se combaciasse anche con la loro esperienza (dimenticando che quella era soltanto la loro esperienza). Per loro era tutto normale, non c’era niente di speciale, forse era lì il problema. Per loro quello era il miglior posto di lavoro che potesse capitarmi! Niente e nessuno avrebbero fatto cambiare questa loro convinzione.

Mi ripetevano da anni che il lavoro pubblico era l’unica seria possibilità di avere un lavoro degno di questo nome…e volevano che io diventassi ciò che loro desideravano, “soltanto” loro.

Il Ministero, con i suoi interminabili corridoi semibui, con le sue stanzone dai soffitti inutilmente alti e l’arredamento di altre epoche. Il Ministero con i suoi quadri enormi e tristi, registri cartacei che rappresentavano la volontà di conservazione.

Ricordo quando da piccino la mia mamma mi portava in un altro di questi strani posti di lavoro. Ricordavo le stanze grigie, buie, questi soffitti altissimi, il tavolo ricoperto di cartacce, timbri, penne. La cosa che più amavo erano i timbri. C’erano ancora i timbri a distanza di trent’anni! Il tempo era cristallizzato, sembrava che si fosse tutto fermato come trenta anni prima.

La burocrazia che sembra indicarci la strada fittizia del tempo che non scorre e della sfida alla morte. In quest’ambiente l’individuo è triturato nella sua creatività, nei suoi talenti e passioni.

E pian piano si spegne così come mi stavo spegnendo io.

Avevo difficoltà a spiegare cosa succedesse in quell’ambiente di lavoro a chi non era presente e non conoscesse. Passavano i mesi (che ormai divenivano anni) e tutti i miei tentativi di rendermi utile, di amare quel lavoro, di poter manifestare la mia iniziativa erano naufragati.

Andavo sempre a sbattere contro un muro di gomma invisibile, delle forze più forti di me, era una battaglia disperata.

Ricordo che mandavo ai miei superiori progetti, idee, iniziative scritte che inesorabilmente tornavano indietro vistate e con scritto grazie. Come a dire, si va bene sei bravo ma non ci interessa nulla!

Riprendevo poi le mie belle cartacce e continuavo a fare fotocopie, fax e a scrivere insensatezze. Quante fotocopie, quanti fax, quante lettere e parole insensate..quintali di carta! Un sistema che sembra disinteressarsi completamente della presenza di esseri umani con cuori palpitanti al suo interno. E’ un meccanismo freddo che va avanti a prescindere.

Quante fotocopie, fotocopie delle fotocopie. Ogni cosa che mi circondava era una fotocopia. Io stesso divenivo una fotocopia. La copia sbiadita di me stesso. La fotocopia non sarà mai come l’originale poiché è una copia.”

 

Quella che avete letto è una pagina del nuovo libro (in fase di pubblicazione) di Luigi Miano, Coach che ho ospitato altre volte su questo sito, che racconta del suo “risveglio”, del suo “momento quantico” in cui ha deciso di dare finalmente una svolta alla sua vita, anzichè seguire il percorso canonico e convenzionale, approvato da tutti tranne che da sè stesso!

Luigi ci racconta il suo modo di vivere e percepire il suo lavoro nella Pubblica Amministrazione…ma di fatto ci si può sentire in modo molto simile anche in qualunque altro tipo di azienda!

Al di là delle facili critiche ad un sistema ancora piuttosto immobile e immutabile come quello della PA, ciò che bisogna considerare è sempre  il rapporto tra la PERSONA e il LAVORO, tra la PERSONA e il CONTESTO in cui si trova ad operare!

Ci sono persone che si possono trovare bene a lavorare in un certo tipo di ambiente perchè corrisponde alle proprie caratteristiche e si combina con i propri valori…..per altri uno stesso ambiente diventa un inferno….!

So che può sembrare un’eresia parlare di insoddisfazione per il lavoro che si svolge mentre la crisi morde e la disoccupazione sale… invece credo che proprio questo sia il momento giusto per far emergere anche questo tipo di disagio!

Infatti, in un periodo di forte difficoltà per le imprese (e anche per le Amministrazioni pubbliche, strette dai tagli alla spesa), il clima interno ne risente fortemente: aumenta lo stress e con esso l’insofferenza, soprattutto di chi già non viveva bene il proprio posto di lavoro!

Diverse persone che mi contattano si sentono in colpa per il loro desiderio di cambiamento e sono influenzati (anche fortemente) dalle persone a loro più vicine che lo scoraggiano da prendere una decisione così “folle” e “rischiosa”. E ovviamente hanno paura di lasciare un posto in cui si trovano male perchè è comunque sicuro, mentre il fuori, l’ignoto, il futuro da costruire, spaventa!

La disapprovazione (altrui) insieme alla paura (propria) finiscono  per ingabbiare e bloccare le persone nel loro status quo e le portano a riporre qualunque sogno o progetto nel cassetto: si convincono che bisogna stare con “i piedi per terra” ed “accontentarsi” di ciò che si ha…

E’ per loro che ho deciso di pubblicare questo articoli, per farli sentire meno soli nel loro disagio e per spingerli a credere ad un possibile cambiamento, di cui loro stessi possono e devono essere i fautori!

Sono davvero rari i cambiamenti rapidi e indolori….ma è possibile iniziare a progettare una strada che conduca fuori dalla gabbia, ed a costruire con le nostre mani un luogo che ci accolga quando ne saremo usciti…!

 

Questo articolo ha 17 commenti

  1. Coach Lavoro

    Riprendo una descrizione che Luigi fa del “Momento Quantico”:

    Il Momento Quantico è un frangente, un
    attimo che può consentire ad una
    esistenza di cambiare inaspettatamente
    corso. Esso permette di passare dalla
    depressione più cupa ad una rinascita
    interiore. Il Momento Quantico è magia
    delle cose che cambiano senza lasciare
    riferimenti conosciuti. Sembra fermare il
    tempo e mettere nelle condizioni di
    connettersi con energie misteriose e con la
    magia dell’esistenza. Dopo un Momento
    Quantico le cose non sono più come
    prima. Un’esistenza che si presupponeva
    scontata diventa una avventurosa ricerca
    di chi si è veramente e di cosa si vuole fare
    della propria vita. Inizia un percorso
    meraviglioso, non privo di ostacoli, ma
    straordinariamente affascinante. Con la
    mia storia voglio testimoniare quanto sia
    importante rivolgere la nostra attenzione
    prima verso noi stessi cercandoci con
    l’intenzione di ritrovarci. E poi
    intraprendere un cammino di evoluzione
    spirituale che ciascuno sa dentro di sé
    essere quello giusto.

  2. Roberta

    Buongiorno Mariangela, ho letto il racconto di Luigi. Sono d’accordo con lui e con te sul fatto che, se lavori ma nell’ambiente in cui operi non sei soddisfatto ti conviene cambiare, ma a mio modesto avviso bisogna cambiare quando si è sicuri di avere un altro posto di lavoro. Capisco che diventa snervante operare in un ambiente che è ostile che non rispecchia i propri stili di lavoro, ma non mi sembra molto logico lasciare il posto in cui si lavora senza averne trovato un altro, sebbene nell’azienda in cui si è dipendenti ci si trova male. Dico questo perché in passato anch’io ho ricoperto ruoli che non mi piacevano per nulla, ma i miei genitori mi hanno insegnato che, “Se in un’azienda non ti trovi bene cerca di cambiare, ma attenzione a come agisci. Cambia quando hai la conferme che un’altra azienda dove tu hai inviato il tuo CV ti assume”, ed a me questo esempio e stato positivo.

  3. Coach Lavoro

    @Roberta.
    Siamo assolutamente d’accordo!
    Come coach per me è fondamentale aiutare le persone a definire degli obiettivi non soltanto motivanti ma anche ecologici, ossia sostenibili!
    E fare un salto senza aver preso le misure piuttosto che senza essersi dotati di strumenti adeguati può essere davvero pericoloso!
    Quindi stabilito dove si vuole andare (e non soltanto cosa si vuole lasciare…) è importante poi disegnare un percorso graduale di avvicinamento al nostro obiettivo!
    Certo, bisogna esser disposti a rinunciare a qualcosa per realizzare i propri sogni, ma per farlo bisogna credere davvero ai propri sogni…ed avere bene chiaro i passi da fare!

  4. enrico

    Bello e molto verosimile il pezzo tratto dal prossimo libro di Luigi Miano.Possiamo immaginare la frustrazione di lavorare in un ambiente statico, dove si è solo un freddo meccanismo di un ingranaggio che molto spesso ha solo la funzione di mantenere in vita (parzialmente)posti di lavoro inutili. E la responsabilità di quasi tutto ciò è dei dirigenti e dei ministri (politicanti) che sono delle persone mediocri e inette e che dunque non conoscono la meritocrazia e non danno spazio a persone competenti.

    Ma a parte questa considerazione qualunquista (ma reale e tuttora attuale) quando sento queste persone scontente di posti di lavoro ben retribuiti mi viene da sorridere…
    Ho letto anche il libro di Simone Perotti sul “downshifting”, cioè sull’esigenza di fare un lavoro meno pressante e stressante che lasci spazio anche alla nostra interiorità e alle relazioni sociali(quelle vere).
    Mi viene da sorridere, perchè le persone scontente di cui sento parlare (Perotti e credo anche lo scrittore Miani) sono comunque, oggi, delle persone privilegiate che hanno guadagnato bene e che probabilmente (anzi sicuramente) hanno una casa propria (cioè senza dover pagare il mutuo).
    Ma la situazione dei giovani e di molti altri meno giovani di oggi è molto più drammatica: non hanno un lavoro degnamente retribuito, non possono accendere un mutuo, notano con immensa tristezza che molto spesso non vanno avanti nella vita i più meritevoli, ma coloro che hanno conoscenze di alto livello (politico, lavorativo ecc) e coloro che sono mediocri e “lecchini”.

    Dunque il bell’esempio di Perotti (e di altri come lui) che hanno lavorato e guadagnato tanto per un considerevole numero di anni e poi si stufano e cambiano lavoro alla ricerca di se stessi (ma con un bel patrimonio da parte che consente loro di fare lavoretti saltuari) non lo ritengo onestamente attuale e per questo nemmeno degno di commiserazione, confrontandolo con chi oggi deve fare i conti con problemi esistenziali legati alla pura sussistenza.

    Enrico

  5. Coach Lavoro

    Enrico, ti ringrazio per il tuo intervento!
    E’ chiaro (lapalissiano direi) che chi ha una disponibilità finanziaria, chi è riuscito a mettere da parte un “gruzzoletto” piuttosto che avere una casa di proprietà ha maggiore facilità a fare il cambiamento…..
    ma questo non significa che chi ha scarse risorse finanziarie sia “condannato” al suo destino!!!

    Come esseri umani abbiamo risorse che non sono contenute in nessuna banca: la creatività, la flessibilità, l’energia e la determinazione, che rendono possibili imprese che “logicamente” e “normalmente” sembrano “impossibili”!

    Ci sono persone che sono partite da ZERO e ce l’hanno fatta, mattone su mattone, a dare una svolta alla loro esistenza e questo è stato possibile non per un colpo di fortuna, ma per l’atteggiamento che ha guidato i loro pensieri e le loro azioni!
    NOn hanno considerato la loro impresa impossibile, ci hanno creduto, si sono impegnati da soli…ma hanno anche chiesto aiuto, hanno fatto sacrifici ma sono stati felici di farli per il loro obiettivo…hanno avuto il coraggio di rischiare!
    L’uomo non è per sua natura vittima della realtà che lo circonda e in cui vive ma ne è piuttosto attivo protagonista, co-responsabile e può elevarsi ben al di là della mera sussistenza!

  6. Maria

    Ciao Mariangela, è da tempo che volevo scriverti e questo articolo è il motivo giusto per farlo. Innanzitutto voglio ringraziarti per il grande aiuto e sostegno (ma anche incoraggiamento) che dai a noi tutti attraverso il TUO lavoro. Sottolineo TUO perché, guarda caso, esprimi, rappresenti ciò che il lavoro DOVREBBE essere per ogni persona: realizzazione delle proprie potenzialità e talenti e di conseguenza aiuto e arricchimento del prossimo e della società. Penso che se il lavoro venisse concepito e vissuto in questo modo, l’essere umano sarebbe migliore e così il mondo. Invece si vive in una realtà in cui la persona è passata in secondo se non in terzo piano, per far spazio al denaro, al profitto smisurato e a sua “signoria” la finanza. Così non è più il denaro al servizio dell’uomo ma l’uomo al servizio del denaro. Non più il lavoro al servizio dell’uomo, ma l’uomo al servizio del lavoro. Penso che le conseguenze di tutto ciò, di questa “deformazione” siano sotto gli occhi di tutti: disoccupazione, mancanza di futuro, di obiettivi, di speranza, mancanza di voglia di vivere, di fare e costruire (già… il lavoro dovrebbe avere anche questa funzione: costruire) e tanta rabbia e frustrazione. E mettiamoci pure le famose “morti bianche”! Insomma mancanza di tutte quelle cose che rendono la vita degna di essere vissuta e che ci fa sentire PERSONE! Io sono credente e penso che ogni persona abbia un compito da svolgere in questa vita e che non nasca solamente per pagare bollette, mutui, andare in pensione (seppure queste cose siano sacrosante, quando ti nasce un figlio speri per il suo futuro lavorativo il meglio e non solo che riesca a pagare quello che c’è da pagare). Il problema, a mio modo di vedere, è che queste realtà invece di essere considerate una parte della vita, dei mezzi per vivere, sono diventate l’obiettivo, il fine. Sono un po’ stanca di sentire il lavoro concepito SOLO e UNICAMENTE come un mezzo per sopravvivere (lo sottolineo perché è anche questo, ma non solo questo…). Il fatto di continuare a martellare le persone, soprattutto i giovani – gli stronchi le gambe -, con questa mentalità volta alla pura sopravvivenza e a niente altro e a voler escludere l’individuo, l’essere umano con tutte le sue enormi potenzialità, con le sue capacità, non fa altro che “mediocrizzare” il tutto e getta ancor più nella disperazione le persone perché gli togli ogni orizzonte, ogni prospettiva (anche quella di pagare i mutui etc. etc.). È come se tu gli dicessi: “Tu non esisti! Per te, per ciò che sei non c’è posto!”. È una devastazione, e non solo psicologica, ma anche culturale (già… a detta di molti la cultura non serve, con la cultura non si mangia… Peccato che la cultura è il “software” dell’uomo, senza di lei non “funziona”. Prova a pretendere di occuparti solo dell’hardwere di un computer senza preoccuparti del softwere e poi vedi…). Allora, visto che l’uomo esiste solo per soddisfare i suoi bisogni primari, per sopravvivere, torniamo all’età della pietra: che senso ha tutto ciò che l’uomo è e che, di conseguenza, ha costruito? Non serve perché basta mangiare, coprirsi, riprodursi (sai la continuità della specie…)! Sono stanca di vedere il concetto di lavoro, il suo valore castrato, sminuito, svilito e svuotato. E con lui anche la persona! Sono vissuta e vivo in un ambiente in cui, prevalentemente, vige questo concetto del lavoro: che è meglio accontentarsi. Che per il fatto che c’è crisi bisogna abbassare la testa e accettare qualsiasi cosa. Sono grafico illustratore e per pagarmi gli studi lavoravo e studiavo. Quando ho visto che il lavoro nell’ambito della mia specializzazione era saltuario ho fatto altri tipi di lavoro, quelli “qualsiasi”, anche quelli in cui non mi trovavo assolutamente e che mi hanno portata anche a rasentare esaurimenti. Mal pagata e sfruttata. Ma anche queste esperienze, seppur dolorose sono state utili perché, oltre a darmi qualche soldo, mi hanno soprattutto insegnato molto. In effetti penso che è meglio fare qualcosa nel frattempo che non si trova nulla nel proprio campo, piuttosto che star li a far niente, ma è anche vero che questa scelta l’ho fatta anche per non deludere le persone a me care, per non dare adito a chiacchiere e per seguire certi consigli: “Maria cercano lì… Maria cercano là, perché non provi?”. E così uno si “butta” e, in effetti in un certo senso mi sono proprio “buttata” perché alla fine, oltre ad essere stata sottopagata e non messa in regola, ho rovinato il mio Curriculum. Così ora ne devo tenere due: uno generico e l’altro per la mia specializzazione di grafico. Così ho capito che, come ogni cosa nella vita, anche da un punto di vista professionale ognuno ha la propria via da percorrere e che quella che è giusta per una persona non è detto che lo sia anche per un’altra e faccio un esempio estremo, ma senza voler offendere nessuno: se ci sono due persone, una con un cervello da Einstein e l’altra come quello di una gallina non si può pretendere che il primo abbia gli stessi progetti e obiettivi del secondo e tanto meno che si muova con le sue stesse motivazioni nella ricerca di un lavoro. Non credo proprio che chi ha delle potenzialità adotterà come legge immutabile l’accontentarsi; chi invece le sue potenzialità non vuole usarle e progetti non ne ha è probabile che l’adotterà. Lo scrivo perché il parlare di lavoro e di progetti di vita – anche questo dovrebbe essere un lavoro, un progetto di vita – con le persone ho notato questo. Nella vita anche se ci si deve adattare perché la situazione lo richiede (sono d’accordo con Roberta), questo non deve escludere il voler contemporaneamente continuare a puntare sui propri progetti e sogni. Lo stare con i piedi per terra non vuole dire incatenarcisi! Ora, con un curriculum rovinato, sono nuovamente disoccupata. Come potete vedere anche l’accontentarsi non sempre paga. Ho capito che questa crisi sta facendo grandi danni e rischiamo quello più devastante: di toglierci tutto ciò che siamo, la nostra anima – perché crisi o non crisi noi ci siamo, esistiamo. I progetti e i sogni esistono prima e a prescindere da tutte le crisi -. A noi il non permetterlo ricordandoci sempre e comunque, qualsiasi lavoro svolgiamo, chi siamo e cosa siamo: persone, che sono al servizio solo di se stesse, degli altri e di null’altro. Non uccidiamoci!

    Maria

  7. Coach Lavoro

    Ciao Maria,
    ti ringrazio molto per il tuo prezioso e corposo intervento!
    Come ho dichiarato anche sul sito e come cerco di testimoniare con la mia attività, condivido la concezione che il lavoro sia o comunque dovrebbe essere un mezzo di “realizzazione delle proprie potenzialità e talenti e di conseguenza aiuto e arricchimento del prossimo e della società”!
    Anche secondo me ci stiamo appiattendo a livello della mera sussistenza e della sicurezza (che ormai il lavoro dà sempre meno…), dimenticandoci che solo puntando ai livello più alti di realizzazione di noi stessi, facendo leva sulle nostre capacità di creare e di trovare modi alternativi per risolvere i problemi, riusciremo non solo ad essere felici, ma anche ad ottenere ciò che ci serve per vivere!
    Avevo parlato di questo nell’articolo LAVORO, SPERANZA PASSIONE E FUTURO in cui citavo la teoria di Maslow (https://www.coachlavoro.com/2012/05/lavoro-speranza-passione-futuro/).

    Non credo di avere altro da aggiungere alle tue bellissime parole!!!
    Se puntiamo SOLO alla sicurezza, non avremo neppure quella, se puntiamo solo a pagare il mutuo, difficilmente arriveremo a fine mese, se ci accontentiamo alla “realtà”, finiremo per limitarla davvero questa realtà perchè poi diventerà più difficile tornare sulla strada originaria, quella giusta per noi dopo averla abbandonata!

    Il futuro appartiene a chi vorrà OSARE per realizzare i suoi sogni!
    Grazie Maria!!!continua a seguirci e se ti fa piacere, scrivimi anche in privato!
    intanto ti faccio un grosso in bocca al lupo!!!

  8. enrico

    Grazie dott.ssa
    della sua utile puntualizzazione e grazie del suo lavoro che fa con una passione e competenza che è pari alla sua determinazione nel ruolo di coach.

    Si è vero, la mia precedente lettera era alquanto pessimista e volutamente provocatoria, perchè dobbiamo pur credere che in un paese evoluto dell’occidente le occasioni e dunque le libertà per il singolo individuo esistano concretamente. Ma quanto è difficile in Italia dove secondo gli studi dell’OCSE negli ultimi anni la mobilità sociale si è ridotta di vari punti e dove i giovani migliori vanno a guadagnarsi la “pagnotta” all’estero.

    E’ chiaro, come lei mi insegna quale fine psicologa, che ciascun individuo ha dentro di sè risorse che la sua stessa ragione molto spesso non vede, perchè appartengono probabilmente a sfere inconsce e irrazionali (cioè sfere altrettanto importanti del nostro Io).

    Dunque farò tesoro della sua conclusione (l’uomo attivo protagonista della sua vita, purchè ci creda e lotti per i suoi scopi) che, spero, sarà di aiuto per altri utenti della sua utile e bella (cioè vera) rivista on-line

    Enrico

  9. Coach Lavoro

    Grazie Enrico del tuo intervento e della tua partecipazione a questo mio sito online che di fatto, me ne rendo conto giorno dopo giorno, non è costruita solo sulla base di teorie psicologiche, sociali o filofeggianti, quanto piuttosto su esperienze di vita vissuta, su esempi concreti e sul contributo dei lettori che, come te, forniscono spunti utili a tutti gli altri (oltre che alla sottoscritta!)!

  10. Nino

    Innanzitutto una premessa … altrimenti corro il rischio di essere frainteso. Anch’io faccio parte di quella categorie di persone che (non più giovanissime) bene o male ha un lavoro (da dipendente pubbl.) abbastanza sicuro, ma sottopagato e per nulla gratificante; quindi sono tra quelli a cui Mariangela ha dedicato questo bell’articolo e la ringrazio per le parole di speranza. Ma è ovvio che comunque una situazione come la mia è molto meno grave di quella dei disoccupati e per loro ho totale rispetto e comprensione.
    A proposito, consentitemi un mia considerazione; sono infastidito ogni volta che sento parlare del problema dei “giovani disoccupati” …. perchè ? Forse per i disoccupati “più grandetti” il problema è meno grave ?? Per cui, per favore, parliamo solo di disoccupati e basta senza distinguere in fasce di età (… vizio tipico di questa società classista !).
    Detto ciò, ritengo comunque che i due problemi, di chi vuole cambiare lavoro perchè insoddisfatto e di chi non ne ha e lo cerca disperatamente, anche se diversi sono comunque legati. Sono entrambi frutto di un modello economico e di una società che ha creato dei lavori, fatti solo per gli interessi capitalistici (vedi consumismo sfrenato) e non per la realizzazione delle persone. Per cui secondo me, la risoluzione dei due diversi tipi di problema, è collegata: innovando il mercato del lavoro, dando più spazio ad una giusta meritocrazia ed alle potenzialità delle persone, può aumentare il numero di coloro che trovano un lavoro (o se lo creano forse è meglio) soddisfacente e che gli consenta di vivere dignitosamente. Ma questo cambiamento, non possiamo aspettarcelo dalle grandi aziende o dalla politica … ce lo dobbiamo costruire noi, piano piano ! E qui effettivamente i giovani, perchè più freschi, più carichi di energia e più creativi hanno un ruolo fondamentale.
    Concludo spezzando una lancia a favore di Simone Perotti (anche se certamente non ha bisogno delle mie difese), perchè molti, come Enrico, forse non hanno capito bene il suo messaggio e lo considerano comunque un privilegiato. Simone, anche se certamente partiva da una situazione agiata, non indica il suo percorso personale come l’unica “strada da seguire”. Lui porta solamente la filosofia del “down-shifting” ovvero vivere riducendo al minimo tutte le spese inutili e dando spazio alle vere esigenze della natura umana; in primis, non essere schiavi del lavoro, ed avere il tempo per fare le cose che piaccioni, senza bisogno di spendere troppi soldi (al contrario di quanto nel tempo ci ha fatto credere la società consumistica). Questo modello di vita, chi vuole, lo può seguire, seguendo un suo percorso personale, senza per forza bisogno di partire da una buona base economica. Se volete un’ulteriore conferma, leggete gli ultimi articoli di Simone, in cui lui stesso racconta come la tanto amata libertà di fare quello che gli piace, comunque gli costa ancora oggi, grossi sacrifici e difficoltà (… non sono tutte rose e fiori !!).
    Ognuno è libero di scegliere cosa preferisce: restare dentro la “gabbia” ma avere più tutele, vivere fuori liberi, anche a costo di affrontare maggiori pericoli !!
    Scusate se mi sono dilungato.

  11. Coach Lavoro

    Caro Nino,
    grazie della tua testimonianza!
    come dici chiaramente nella tua conclusione, ogni scelta comporta un beneficio e un rischio/costo!
    Non è detto che avviare una propria attività o in generale investire in un proprio progetto di vita sia più “costoso” in termini di salute, di benessere personale, di realizzazione, che non avere il lavoro “fisso”!
    quanti giorni di vita preziosa perdiamo vivendo frustrazioni, delusioni, conflitti, stress nel nostro attuale posto che non ci soddisfa? e quanto ne guadagneremo (anche se non in termini economici) a seguire le nostre vere inclinazioni e passioni?
    Di fatto credo che ci siamo lasciati ingabbiare da un concezione del lavoro in termini di “stipendio”, sicurezza e status, rinunciando a soddisfazione, espressione di sè e creatività!
    e adesso che i primi 3 elementi stanno venendo meno…ci troviamo senza niente in mano!

  12. Coach Lavoro

    Riporto con piacere il commento di Luigi Miano:

    Un caro saluto a tutti e grazie per i numerosi feed back. Come sempre l’argomento lavoro crea moltissimo interesse.
    A proposito di ricchezza necessaria a cambiare vita credo che moltissime volte ci creiamo dei paletti per non cambiare veramente. Il concetto di sicurezza è stato secondo me sopravvalutato e travisato. La sicurezza è stata e continua ad essere una sorta di piombo ai nostri piedi per non permetterci di mutare situazioni che ci possono portare a fondo.
    Cosa è la sicurezza? Quella che a fine mese arrivi uno stipendio sopportando tutto e tutti? e che questo possa arrivare a giustificare un avvilimento dei talenti e dei doni personali e della missione di vita? Fino a portarci a problemi fisici e psicologici? bene non c’è somma che possa giustificare tutto questo.
    Io ho rinunciato a metà del mio magrissimo stipendio (altro che ricchezza!) pur di conquistare la libertà di essere ciò che sono..E sono pronto a licenziarmi, non ho paura più di nulla. La ricchezza è un fattore interiore e significa avere a disposizione tutto ciò di cui si ha bisogno in relazione ai propri scopi. Io oggi ho tutto, sono ricco.
    Quanto al futuro del lavoro?
    Ritengo che moltissime cose cambieranno e tutti saremo costretti a fare i conti a brevissimo con il fatto che il lavoro dipendente sia in via di superamento definitivo e dovremo trasfromarci un pò tutti in artisti- imprenditori. Prepariamoci a questi enormi cambiamenti già in atto…

    Caro Luigi, direi che siamo assolutamente allineati 🙂

  13. paola

    Ciao a tutti, non potevo non unirmi al gruppo essendo molto “toccata” dall’argomento! Sono una dipendente di una grossa azienda privata, stile PA, ho 52 anni e 30 anni di lavoro alle spalle. Attendevo con gioia un’imminente pensionamento per poter finalmente “uscire dalla gabbia”, invece ho davanti ancora molti anni e, a quel punto, chissà in che stato sarò al raggiungimento dell’agognata pensione (se ancora ci sarà!!). Premesso che concordo con quanto affermato da tutti voi, che la propria soddisfazione e la realizzazione di sè sono fondamentali per il proprio benessere psicologico (proprio per la “sofferenza” al lavoro ho rasentato l’esaurimento e sofferto di attacchi di panico), vorrei fare una piccola osservazione: io ho un figlio ed un marito che ha gravi problemi di salute, la decisione di lasciare mi ha sfiorato tante volte, ma mi ha sempre fermata la paura di coinvolgere in grossi problemi i miei familiari . Penso che quando si è soli, ed anche più giovani, certe decisioni siano più semplici, anche perchè si coinvolge solo se stessi!!! Inoltre guai a dividersi in lotte “giovani-vecchi”, siamo tutti sulla stessa barca, e se crolliamo noi vecchi anche i nostri figli non avranno supporto!!

  14. Coach Lavoro

    @Paola
    Ti ringrazio molto per il tuo contributo!
    sono contenta che tu, come altri lettori che mi hanno scritto, si siano immedesimati nella storia di Luigi, così simile all’esperienza di molti!
    Sono assolutamente d’accordo con te che, a prescindere dall’età quando si prende una decisione bisogna considerare le conseguenze non solo per noi stessi ma anche per chi ci sta vicino: come Coach sto sempre molto attenta affinchè l’obiettivo definito dal mio cliente sia “ecologico” ossia sostenibile!

    Il fatto è che spesso facendo queste valutazioni si ingigantiscono gli ostacoli e si minimizzano invece i vantaggi che si potrebbero ottenere da un certo tipo di scelta.
    Ad esempio si considera soprattutto la perdita in termini economici (che poi è tutta da verificare nel lungo termine…) e non il guadagno in termini di salute e di benessere. Inoltre se stiamo bene noi, di riflesso stanno bene anche le persone che ci circondano!
    Questo per dire che bisogna avere una visione quanto più possibile completa e sistemica.

    Per quanto riguarda il cambiamento da affrontare poi, come ho detto già altrove, nella maggior parte dei casi è consigliabile adottare un approccio graduale che consenta di iniziare a lavorare sul nuovo progetto mentre si continua a stare nel vecchio lavoro, oppure di trovare soluzioni alternative che consentano la gestione nel breve termine.

  15. paola

    Per combinazione, oggi sto leggendo il blog di Andrea (EfficaceMente) che ci hai consigliato e….quante verità sui paletti che ci costruiamo!!! Quindi….Buon cambiamento a tutti!!!

  16. A.

    Spero che,anche dopo anni da questo articolo, qualcuno leggerà questo commento.
    Ho ritrovato questa pagina tra i miei preferiti: l’avevo inserita nel 2017, quando ero in “crisi” personale e professionale perchè avevo 29 anni ed ero ingabbiata in un lavoro che piaceva a tutti tranne che a me. Grazie a questo articolo, il giorno dopo ho scritto la lettera di dimissioni e mi sono licenziata.
    Stavo veramente diventando una fotocopia, pallida imitazione di me stessa, completamente incapace di ricordarmi cosa si provasse a fare qualcosa di piacevole, anestetizzata dalla convinzione che lo stipendio lenisce tutti i mali.
    Ho capito che non è così, nessuno stipendio compenserà mai la mancanza di gratificazione professionale e la percezione di essere inutili ( e anche un po’ parassiti, perchè mi trovavo non per mio “Merito” in una PA,seppur da precaria) per la società.

    Oggi sono un’insegnante di scuola,un po’ meno precaria e abilitata su Sostegno perché vincitrice con le sole mie forze di una dura selezione per la specializzazione. Oggi sono una persona felice, oggi lavoro con il sorriso nonostante sia un mestiere difficile. Oggi sento di dover ringraziare anche questo blog e soprattutto sento di dover dire “Coraggio!” a chi non ha la forza di lasciare andare qualcosa che vi opprime: non è mai troppo tardi per liberarsi di quel fardello che vi portate dietro!

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