Dopo l’interesse suscitato dalla minirubrica di CoachLavoro curata da Massima di Paolo, esperta di Lavoro&Diritti, sul tema degli incentivi all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego, dell’apertura di una Società a Responsabilità Limitata e di una Partita IVA a regime agevolato, abbiamo deciso di affrontare insieme a lei un altro tema di attualità: la nuova Riforma del Lavoro.
Proprio in questi giorni infatti è in discussione al Senato il ddl sul lavoro che non riforma solo il tanto disusso art. 18 dello Statuto dei lavoratori ma è un progetto complesso e assai articolato (70 articoli!) che si propone, come più volte affermato dal ministro Fornero “di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, ripristinando al contempo la coerenza tra flessibilità del lavoro e istituti assicurativi”.
Con una serie di articoli chiari e utili, Massima ci introdurrà alle modifiche dei contratti atipici, della normativa sul licenziamento, ammortizzatori sociali e, infine, agli interventi a favore di donne, anziani, disabili ed extracomunitari.
Iniziamo quindi dal tema dei contratti atipici: la riforma vuole preservarne gli usi virtuosi e a limitarne quelli impropri, al solo scopo di abbattere il costo del lavoro aggirando gli obblighi previsti per i rapporti di lavoro subordinato.
Il contratto a tempo indeterminato è la forma di assunzione che si tende a privilegiare.
Contratto a tempo determinato
Il disincentivo all’uso del contratto a tempo determinato è perseguito, principalmente, tramite un incremento del relativo costo contributivo, destinato al finanziamento dell’assicurazione sociale per l’impiego (attuale assicurazione contro la disoccupazione involontaria).
Questa maggiorazione contributiva può essere recuperata (trasformandosi in un “premio di stabilizzazione”) nel caso che all’assunzione o alle assunzioni a termine faccia seguito l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore.
Per limitare il fenomeno della successione abusiva di contratti a termine, viene resa più rigida la disciplina del rinnovo dei contratti a termine, tramite “l’aumento dell’intervallo temporale che deve esservi tra la scadenza di un contratto e la stipulazione di quello successivo” .
Inoltre, i contratti collettivi possono prevedere che il requisito della causale non sia necessario nei casi in cui l’assunzione avvenga nell’ambito di un processo organizzativo, nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati.
Apprendistato
Si vuole far diventare questo tipologia contrattuale, il canale privilegiato di accesso dei giovani al mondo del lavoro.
Fra gli interventi di maggiore rilievo, si segnalano:
- la previsione di una durata minima del contratto di apprendistato, fissata in almeno sei mesi, (tranne che per attività stagionali e altre piccole eccezioni);
- l’introduzione di un meccanismo in base al quale l’assunzione di nuovi apprendisti è collegata alla percentuale di stabilizzazioni effettuate nell’ultimo triennio con l’esclusione dal computo dei rapporti cessati durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa.
Part-time
Sono previste modifiche alla normativa in tema di rapporti a tempo parziale di tipo verticale o misto, al fine di contrastare un esercizio distorto della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa originariamente stabilita.
E’ previsto che i contratti collettivi possono stabilire condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere la eliminazione ovvero la modifica delle suddette clausole flessibili e elastiche. Viene, poi, introdotta a favore del lavoratore che abbia già manifestato il consenso alla clausola elastica, la facoltà di revocare la precedente manifestazione di volontà, qualora ricorrano le condizioni o situazioni previste dall’articolo 10, primo comma, dello Statuto dei lavoratori, dall’articolo 12-bis del d.lgs. n. 61/2000 ovvero dai contratti collettivi.
Lavoro intermittente
Per evitare che il cosiddetto Lavoro “a chiamata”, possa essere utilizzato come copertura nei riguardi di forme di impiego irregolare del lavoro, viene previsto l’obbligo di effettuare una comunicazione amministrativa preventiva, con modalità snelle (ad esempio: fax o PEC), in occasione di ogni chiamata del lavoratore.
Lavoro a progetto
Per razionalizzare il lavoro a progetto e evitarne un utilizzo distorto da parte del datore di lavoro, che celi un vero e proprio rapporto di lavoro di natura subordinata, vengono apportate alcune modifiche alla disciplina di cui al d. lgs. n. 276/2003 (legge Biagi) volte a:
- una definizione più stringente del progetto, che deve possedere i requisiti di determinatezza di cui all’art. 1346 c.c., deve essere funzionalmente collegato al risultato finale da raggiungere e non può essere identificato con l’obiettivo aziendale nel suo complesso;
- limitazione della facoltà del datore del lavoro di recedere dal contratto prima della realizzazione del progetto. Il recesso può, infatti, essere esercitato nelle sole ipotesi di giusta causa o di inidoneità professionale del collaboratore, che renda impossibile la realizzazione del progetto;
- presunzione relativa circa il carattere subordinato del rapporto di lavoro, qualora l’attività esercitata dal collaboratore sia analoga a quella prestata dai lavoratori dipendenti dall’impresa committente, salve le prestazioni di elevata professionalità;
- la mancata individuazione del progetto determina ipso facto la trasformazione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato.
Partite IVA e associazione in partecipazione
Guerra aperta alle finte partite Iva e all’odioso fenomeno dell’associazione in partecipazione.
Sulle prime, l’obiettivo è di evitare utilizzi impropri delle collaborazioni professionali con titolarità di partita IVA (negli ultimi anni notevolmente aumentati), in sostituzione di contratti di lavoro subordinato.
Si introduce pertanto una presunzione, salvo prova contraria (ferma restando, cioè, la possibilità del committente di provare che si tratti di lavoro genuinamente autonomo), circa il carattere coordinato e continuativo (e non autonomo ed occasionale) della collaborazione tutte le volte che ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
- che la durata della collaborazione sia superiore a sei mesi nell’arco di un anno solare;
- che il ricavo dei corrispettivi percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare superi la misura del 75%;
- che il prestatore abbia la disponibilità di una postazione di lavoro presso il committente.
Sull’associazione in partecipazione, la riforma oltre a garantire l’effettività della partecipazione agli utili da parte dell’associante e la consegna, a quest’ultimo, del rendiconto societario, ne vuole limitare l’uso solo in caso di associazioni tra familiari entro il 1° grado (cioè tra genitori e figli) o coniugi. In mancanza di questi requisiti, il rapporto si presumerà di natura subordinata (fatta salva la prova contraria).
Lavoro accessorio
La riforma prevede misure di correzione all’articolo 70 del d.lgs. 276/2003, finalizzate a restringere il campo di operatività dell’istituto. In particolare, si ridefiniscono i limiti di applicazione dello stesso ovvero l’importo dei compensi che non può essere superiore a 5.000 euro nel corso di un anno solare con riferimento alla totalità dei committenti.
L’articolo in esame esclude inoltre le prestazioni nei confronti di imprenditori, commerciali o professionisti salvo che per le attività agricole di carattere stagionale che possono essere svolte anche in forma imprenditoriale. (su questo punto c’è dura battaglia in senato, soprattutto per l’utilizzo dei voucher nell’agricoltura).
Al fine di favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri, si è, altresì, previsto che i compensi percepiti nell’ambito del lavoro accessorio rilevino nel calcolo del reddito necessario per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.