Non si può restare indifferenti ai dati che continuano a giungere dagli Istituti di Statistica italiana ed Europea rispetto ai tassi di occupazione e disoccupazione e, da ultimi, a quelli di inattività. Gli inattivi sono coloro che pur non avendo un lavoro ed essendo “interessati” a lavorare non lo cercano, prevalentemente perché disperano della possibilità di trovarlo: un “esercito di scoraggiati” come vengono definiti dai media.
Se in Italia a novembre 2014 (quando sono stati raccolti i dati dagli intervistatori) i disoccupati erano circa 3 milioni e mezzo (che corrispondono ad un tasso di disoccupazione del 13,4%), gli inattivi erano addirittura di più, ossia 3,6 milioni, pari a circa il 14% della popolazione attiva! Superiamo di 3 volte la media Europea e siamo distantissimi non solo dalla Germania (1,2%) ma anche dalla Grecia, che con un tasso di disoccupazione decisamente superiore al nostro vanta solo un 1,9% di inattivi.
Viene da pensare che forse gli Italiani inattivi “se lo possono permettere”, ma chiaramente una situazione del genere non è sostenibile nel medio-lungo termine, né per il singolo individuo e la sua famiglia, né per la collettività.
Chi lavora infatti (e in Italia sono poco più di 22 milioni di persone) non solo si procura il proprio sostentamento, ma ha la possibilità di creare beni materiali o immateriali, servizi e quindi di produrre ricchezza per sé e per il proprio Paese.
Quali sono le cause di questo fenomeno?
Potremmo spendere pagine e pagine a discutere di cosa provochi una reazione così massiccia, indagando tra fattori economici, sociali e culturali.
Vista anche la mia estrazione, mi concentrerò sui fattori più strettamente psicologici, che impattano sulla “scelta” dell’inattività:
1) Visione del mondo: si percepisce la realtà come un dato di fatto “oggettivo” ed immutabile che non viene in alcun modo influenzato dal pensiero né dall’azione. Finché si ha una visione assolutisticamente positiva come quella di Candido di Voltaire, va tutto bene (o quasi…!): si guarda il mondo con lenti rosa e non si perde il sorriso e la fiducia qualunque cosa accada. Ma visto che molti in Italia scelgono le lenti scure (sarà per il sole?!), le percezione della realtà che ci circonda diventa decisamente più fosca. Tradotto in altri termini significa pensare: “La realtà dei fatti è questa, in Italia c’è crisi, il mercato del lavoro fa schifo non ci sono opportunità (e quelle che esistono sono solo per i raccomandati). Cosa cerco a fare?”. Quindi, non posso far altro che lamentarmi e/o accettare le cose così come sono, aspettando, senza poi tanta convinzione, che le cose cambino (da sole).
2) Riprova sociale: come scritto più volte su questo blog, più siamo convinti di una cosa e più ne riceveremo conferma; se poi si tratta di una visione condivisa collettivamente come quella sul mondo del lavoro, tali conferme saranno decisamente frequenti e di impatto. Sulle pagine dei giornali, nei TG e nei programmi TV c’è sempre più spazio per le notizie negative che non per quelle positive. E’ più comune che si parli di un’azienda che chiude o di una che apre? Quindi, per un processo di distorsione cognitiva, è facile convincersi che una cosa sia più frequente quanto più spesso ne sentiamo parlare. Invece quello che conta è da una parte la diffusione dell’informazione, dall’altra la nostra predisposizione a recepire e ricercare determinate notizie rispetto ad altre. E’ più facile confrontarsi con persone che la pensano nello stesso modo, anziché trovare storie costruttive ed edificanti di chi ce l’ha fatta a trovare lavoro o a crearselo.
3) Locus of control esterno: concetto caro agli psicologi, che indica la preferenza individuale ad attribuire la causa dei fenomeni a fattori esterni a sé (quindi al mondo, al destino, al governo, ai selezionatori…) anziché a sé stessi (alle proprie capacità, all’impegno, al modo di presentarsi…). Accompagnato da una visione del mondo negativa, questo fattore porta facilmente alla cupa rassegnazione. Se nulla dipende da noi, non solo è inutile agire ma anche credere, sperare, immaginare un futuro diverso.
4) Scarsa resilienza: Essere resilienti in termini psicologici significa essere capaci di affrontare fatiche e difficoltà anche considerevoli, delusioni e cadute, riuscendo a rialzarsi e perseverando fino a raggiungere ciò che desideriamo. (Per approfondimento, consiglio di consultare il sito e di leggere i libri di Pietro Trabucchi, Psicologo esperto della materia). Gli inattivi per qualche tempo possono essere anche stati attivi, ma dopo “x” tentativi (possono essere centinaia o anche solo uno!) si sono scoraggiati ed hanno abbandonato il campo, rinunciando… Per “superare” la frustrazione dell’insuccesso, smettono anche di provare! La rinuncia è un meccanismo di difesa tipicamente umano e se usato in un tempo ristretto può aiutare a riprendere fiato, a riconsiderare obiettivi e mezzi a disposizione e a ripartire con maggiore consapevolezza. Purtroppo nella maggioranza dei casi la rinuncia verso un obiettivo si estendo verso altri possibili obiettivi: infatti si rinuncia anche a cercare delle alternative e questo può portare fino all’apatia e alla depressione.
Su cosa fare leva per riattivarsi
Per rompere il circolo vizioso innescato dal pericoloso mix dei fattori sopra descritti, bisogna per prima cosa metterli in discussione e poi sostituirli con pensieri più positivi e funzionali per noi. Il che non significa indossare gli occhiali rosa di Candido, ma toglierci quelli scuri che ci impediscono di percepire tutti i colori visibili dello spettro della luce!
Come sarebbe se credessimo che:
…la realtà cambia, giorno dopo giorno, ci sono opportunità che se ne vanno e altre che vengono
…in questo momento ci sono persone che vengono licenziate, altre che vengono assunte, altre ancora che aprono una propria attività
…ci sono opportunità che vanno colte e altre che vanno create
…abbiamo un impatto sulla realtà, possiamo modificarla con i nostri pensieri e le nostre azioni
…l’unica cosa a cui rinunciare è la rinuncia
…l’unica cosa di cui diffidare è la sfiducia
…è proprio nei momenti più difficili che possiamo tirare fuori risorse che non pensavamo neppure di avere
…è proprio nei momenti più difficili che possono manifestarsi eventi impensabili che alcuni chiamano “miracoli”
…”chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto” (anche perché “chiusa una porta si apre un portone”…)
Come cambierebbe la nostra visione della realtà? I nostri sentimenti e i nostri pensieri? Il nostro atteggiamento verso la ricerca di un nuovo lavoro?
Conclusione
Immagino che molti lettori, forse anche tu che stai leggendo, avrai pensato almeno una volta di gettare la spugna perché la situazione è dura e non è facile mantenere ottimismo e fiducia quando non si ottengono i risultati e le notizie che ci arrivano sono sconfortanti. Ma è proprio in quei momenti che possiamo e dobbiamo attingere alle nostre risorse interiori, ai pensieri costruttivi come quelli di cui sopra, alla consapevolezza di chi siamo e di cosa sappiamo fare, ai successi che abbiamo già raggiunto nella nostra vita lavorativa e non, alle soddisfazioni che abbiamo provato. E come abbiamo ottenuto successi e soddisfazioni? Forse stando fermi? Inattivi? Scoraggiati e delusi?
“Aiutati che il Ciel ti aiuta”, come dice un famoso proverbio nostrano, parlando con una saggezza universale che risuona anche nelle parole del noto maestro indiano Osho: “Per prima cosa porta a compimento ciò che dipende da te, a quel punto interverrà l’esistenza”.