Il 29 giugno scorso il Corriere della Sera ha pubblicato la lettera che Rita Clementi, esperta di genetica presso l’Università di Pavia, ha scritto al Presidente della Repubblica per denuciare il sistema antimeritocratico italiano.
Laureata in Medicina e specializzata in Genetica, nel corso dei suoi diversi contratti precari (sic!), la ricercatrice ha scoperto l’origine genetica di un linfoma maligno, ma la mancanza di fondi e soprattutto di una cultura che sostenga e promuova chi contribuisce al progresso scientifico non le hanno consentito di portare avanti i suoi studi.
Da oggi, 1 luglio, la Dott.ssa Clementi lavora presso un importante Centro di Ricerca di Boston.
Qui di seguito riporto degli stralci della lettera pubblicata dal Corriere, per far riflettere e dare un seppur minimo contributo all’auspicato cambiamento di cultura e di mentalità nelle imprese, nelle università e in generale nella società italiana.
“Caro presidente Napolitano, chi le scrive è una non più giovane ricercatrice precaria che ha deciso di andarsene dal suo Paese (…). Vado via con rabbia, con la sensazione che la mia abnegazione e la mia dedizione non siano servite a nulla (…).
Signor presidente, la ricerca in questo Paese è ammalata. La cronaca parla chiaro, ma oltre alla cronaca ci sono tantissime realtà che non vengono denunciate per paura di ritorsione perché, spesso, chi fa ricerca da precario, se denuncia è automaticamente espulso dal «sistema » indipendentemente dai risultati ottenuti. Chi fa ricerca da precario non può «solo» contare sui risultati che ottiene, poiché in Italia la benevolenza dei propri referenti è una variabile indipendente dalla qualità del lavoro. Chi fa ricerca da precario deve fare i conti con il rinnovo della borsa o del contratto che gli consentirà di mantenersi senza pesare sulla propria famiglia. Non può permettersi ricorsi costosi e che molto spesso finiscono nel nulla. (…)
Io, laureata nel 1990 in Medicina e Chirurgia all’Università di Pavia, con due specialità, in Pediatria e in Genetica medica, conseguite nella medesima Università, nel 2004 ho avuto l’onore di pubblicare con primo nome un articolo sul New England Journal of Medicine i risultati della mia scoperta e cioè che alcune forme di linfoma maligno possono avere un’origine genetica e che è dunque possibile ereditare dai genitori la predisposizione a sviluppare questa forma tumorale. Tale scoperta è stata fatta oggetto di brevetto poi lasciato decadere non essendo stato ritenuto abbastanza interessante dalle istituzioni presso cui lavoravo. Di contro, illustri gruppi di ricerca stranieri hanno confermato la mia tesi che è diventata ora parte integrante dei loro progetti: ma, si sa, nemo profeta in Patria.
Ottenere questi risultati mi è costato impegno e sacrifici (…)
Lavoravo, come tutti i precari, senza versamenti pensionistici, ferie, malattia. Ho avuto contratti di tutti i tipi: borse di studio, co-co-co, contratti di consulenza… (…)
Ero spinta dal mio senso del dovere e dalla forte motivazione di aiutare chi era ammalato. Nel febbraio 2005 mi sono vista costretta a interrompere la ricerca: mi era stato detto che non avrei avuto un futuro. (…)
Desidero evidenziare proprio questo: il sistema antimeritocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa Nazione. Una «buona ricerca» può solo aiutare a crescere; per questo motivo numerosi Stati europei ed extraeuropei, pur in periodo di profonda crisi economica, hanno ritenuto di aumentare i finanziamenti per la ricerca.
È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no. Se il malcostume non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica conseguenza quella di potenziare le lobby che usano le Università e gli enti di ricerca come feudo privato e che così facendo distruggono la ricerca.
Con molta amarezza, signor presidente, la saluto.
Rita Clementi
29 giugno 2009
Fonte: www.corriere.it