Dal lavoro precario e dequalificato al Lavoro creativo e su misura

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Lavoro precarioViviamo in un’epoca difficile da comprendere e da affrontare. Sono caduti quei punti di riferimento e quei valori che prima guidavano e sorreggevano le vite dei nostri predecessori. Gli ideali etici e politici erano contrapposti, ma chiari, i percorsi di vita (fidanzamento, matrimonio, figli) e di lavoro (gavetta, lavoro a tempo indeterminato, pensione) erano definiti e programmati. L’orizzonte in cui ci si muoveva era sempre quello locale e nazionale, con un tasso di cambiamento relativamente basso, all’interno di un tempo più dilatato e prevedibile.

Ora tutto questo sembra “preistoria”, al contempo non è facile tracciare una “storia” attuale, in quanto i contorni appaiano ancora confusi e mutevoli. Quello che appare evidente è l’assenza della stabilità in tutti i settori ed il predominio della complessità e dell’incertezza perenne.

Precaria appare la vita personale e quella affettiva, precario il lavoro. Chi è un precario? Alberto Peretti, direttore della Rivista di Filosofia applicata al lavoro, lo definisce come “colui che non dà o che non riesce a dare ad essa una durata esistenziale. Chi semplicemente la consuma”.

Qualcuno potrebbe qui facilmente obiettare che la precarietà non è una scelta personale ma una necessità dettata dall’esterno.  Sono le aziende che, prese nel vortice della crisi, della riduzione dei costi a tutti i costi hanno trasformato il lavoro in un usa-e-getta di professionalità.

In realtà la visione aziendale rispecchia a sua volta quella individuale, tanto che non è possibile stabilire chi abbia determinato cosa. Come scrive Peretti, il lavoro è stato mercificato ed il suo valore si è depauperato. Il lavoratore, così come l’azienda, intende ormai il lavoro come strumento di mera sussistenza, “merce fittizia retta dal mero calcolo d’un tornaconto”.

Ecco quindi che le aziende tendono sempre di più a cercare un “lavoratore qualsiasi”, che sia tecnicamente preparato, abile e arruolabile fin da subito nella posizione, immediatamente produttivo e performante. Ed anche le persone cercano un “lavoro qualsiasi”, purché sufficientemente remunerato e il più possibile duraturo (anche se ormai sia lo stipendio che la durata contrattuale si stanno abbassando sempre di più!). Come scriveva Nietzsche ne “La Gaia Scienza”, agli albori dell’era industriale “Cercarsi un lavoro per un salario: in questo quasi tutti gli uomini dei paesi civili sono oggi uguali; per essi tutti il lavoro è un mezzo, e non fine a se stesso”.

Peccato che in questo modo sia le aziende che i lavoratori si condannino da soli ad una forte insoddisfazione e rinchiudano i propri orizzonti in un cortissimo lasso di tempo. Non costruendo una rotta verso il futuro, si è costretti ogni giorno a ricominciare da capo, fiaccati dai venti e dalle bordate esterne che rischiano sempre più di far affondare la nave.

 

Quali prospettive si possono aprire?

Per prima cosa è necessario ri-trovare i punti di riferimento all’interno di noi stessi. Non è al di fuori di sé che si trovano le risposte, ma solo all’interno. Non è il lavoro che dà senso all’uomo, ma è l’uomo che dà senso al lavoro. 

Bisogna ripartire da sé stessi per “dare continuità di significato al proprio agire, di riunificare le forme del loro fare in un disegno unitario” (Peretti). Questo significa ri-conoscere la propria personalità, e, ancora più in profondità, la propria identità unica e distintiva, con la sua storia e i suoi valori. Capire come i propri talenti e le proprie capacità possono essere utilizzate e fatte fruttare a beneficio di sé stessi e della collettività.

Per i motivi che abbiamo visto sopra, le persone fanno molta fatica a capire chi sono e a dare alla loro vita “uno scopo, una meta, un senso”. Non sapendo chi sono e dove sono non riescono a tracciare una linea verso dove vogliono andare. E quindi si lasciano trascinare dal caso e dall’opportunità momentanea.

Come si domanda Peretti: “Quale può essere il sommo guadagno se non l’ottenere, dal lavoro e attraverso il lavoro, il pieno riconoscimento del proprio esistere? ….In che cosa può consistere il piacere di lavorare se non nella possibilità di impegnarsi in un lavoro all’altezza della propria esistenza?

Bisogna quindi recuperare la capacità di creare e di progettare che è insita in ogni uomo. Ce la siamo solo “dimenticata” oppure ci siamo convinti che non sia possibile per noi né praticabile in questo contesto. Peccato che tutti gli uomini di successo, ossia quelli che fanno “succedere le cose” sono convinti esattamente del contrario!

Se ri-costruiamo la nostra identità e ri-troviamo la nostra meta, il lavoro che svolgeremo non sarà più “uno qualsiasi”, un lavoro omologato, standardizzato e facilmente rimpiazzabile, ma “il nostro lavoro”, disegnato su misura per noi, in cui saremo unici e insostituibili!

Sarà il lavoro di un “artista” come lo definisce Seth Godin, guru del marketing fuori dagli schemi, pittore della Mucca Viola.  Sarà un lavoro creativo, nel senso che crea qualcosa di nuovo, un lavoro emozionale e originale, un lavoro che ci realizza perché realizza qualcosa che ha un senso, uno scopo.

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Pasquale

    Ciao, concordo con le tesi esposte nell’articolo, vorrei però sottolineare che da un punto di vista di organizzazione del lavoro quanto affermato non può che essere applicato tramite forme di impiego di tipo autonomo. Difficile infatti che oggi un lavoro di tipo dipendente, specie se in una grande impresa, possa permetterti di ” ri-costruire la propria identità e ri-trovare la propria meta”… Bisognerebbe che anche il sistema incentivasse al meglio tutte le forme di auto-impiego e c.d. micro-imprenditorialità,proprio per far emergere quegli spiriti creativi altrimenti destinati ad essere relegati dietro un’anonima scrivania… Saluti,Pasquale

  2. Coach Lavoro

    Ciao Pasquale,
    concordo con te che il modo migliore (e forse l’unico…) per avere un lavoro a propria immagine e somiglianza sia quello di crearselo (come freelance, imprenditore, wwworkers).
    E’ anche che vero che ci sono (poche) aziende (GOOGLE uber alles) che incentivano l’iniziativa e la creatività individuale proprio perchè consapevoli che questo va a beneficio del singolo e di tutta l’organizzazione. Ma certo si tratta di rarità!
    Siamo d’accordo anche sul fatto che il “sistema” potrebbe e dovrebbe incentivare le forme di autoimpiego e l’imprenditorialità: diciamo che ci prova (v. recente legislazione: https://www.coachlavoro.com/2012/02/vuoi-avviare-unattivita-in-proprio-ci-sono-gli-incentivi/ ma con scarsi risultati a quanto pare…). Io credo (e molti micro o macro imprenditori saranno d’accordo con me) che basterebbe non disincentivare l’avvio di un’attività con burocrazia e balzelli!
    Ad ogni modo, nonostante la scarsità di incentivi e l’abbondanza di disincetivi, molti italiani riescono a liberarsi dalle scrivanie e a realizzare qualcosa di proprio: qui trovi decine e decine di storie (tra cui anche la mia…): http://www.wwworkers.it

  3. Genevieve

    Burçin Yazıcı / 26 Ekim 2011kısa kısayı bitirmeyin! Üzerinden kısa kısa geçilecek başka şeyler buluruz biz. Yani haberleri iki kişi sunuyormuş gibi de olialbir.Cevaplamak için giriş yapın

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