Essere convinti di sè stessi per essere convincenti sul lavoro

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Nella mia esperienza come Coach posso dire di aver notato 3 differenti approcci nella ricerca di un nuovo lavoro e di una crescita professionale…

Ci sono persone che pur non avendo forti competenze professionali nè particolari qualità personali, sono convinte di poter arrivare dovunque, senza grosse difficoltà  e senza particolare impegno e sacrificio. Credono di essere all’altezza di qualunque tipo di lavoro e non si mettono mai in discussione. Li potremo chiamare i “montati“.

Ci sono poi persone con un buon curriculum professionale, consapevoli delle loro risorse e delle loro potenzialità, così come dei propri limiti. Si rendono conto degli ostacoli (interni ed esterni) che li separano dal loro obiettivo e si attrezzano per affrontarli, investendo in primo luogo su loro stessi, attraverso corsi di formazione o anche semplicemente studio da autodidatti, e chiedendo, se necessario aiuto a professionisti esperti. Questi tipi di persone possono essere definite “costruttive“.

Il terzo gruppo è composto da chi ha competenze di livello medio-alto, ha un curriculum spesso piuttosto variegato (a volte frammentato), è molto motivato a cambiare e a crescere professionalmente, ma tende a svalutare sia le proprie risorse interiori che le proprie competenze. Tendenzialmente non si sente all’altezza delle richieste di mercato, focalizzandosi di più sulle proprie mancanze che non sulle proprie qualità. Quando si candidano ad un annuncio o partecipano ad un colloquio di lavoro, pur sperando che esso vada a buon fine, sono inconsciamente convinti di non potercela fare! E se questa convinzione diventa molto forte, tendono spesso a “rinunciare” e ad “accontentarsi” di ciò che hanno. Queste persone possono essere definite “disfattiste“.

Chi ha ragione e chi ha torto nella valutazione del proprio valore “di mercato”?

In realtà è difficile per non dire impossibile arrivare ad una valutazione “oggettiva ” del valore professionale di una persona perchè tale valutazione è fortemente condizionata da come la persona si percepisce, che determina a sua volta come si presenta sul mercato e quali opportunità saprà cogliere.

Pertanto si arriva in diversi casi al paradosso per cui chi ha meno competenze ma più sicurezza in sè stesso riesca ad affermarsi più facilmente di chi ha le stesse competenze (e spesso anche di più!), ma non crede in sè stesso e nelle proprie capacità di riuscita!

Questo discorso sulle convinzioni nei confronti di sè stessi e del proprio “valore professionale” ha molto a che fare con quello dell’autostima.

Come abbiamo visto in precedenti articoli, l’autostima è una valutazione generale di noi stessi ed indica quanto “stimiamo” noi stessi come persone rispetto alle nostre stesse aspettative. Tecnicamente, invece, quando ci riferiamo alla convinzione sulle nostre possibilità di riuscita in un determinato campo di attività, parliamo di autoefficacia. Come è facile comprendere, l’autostima (generale) influenza l’autoefficacia (specifica).

Ad ogni modo, entrambi i tipi di convinzioni hanno il medesimo effetto, potentissimo, sulla nostra vita: tendono a realizzarsi e a confermarsi!

Come diceva Henry Ford: “Qualunque cosa tu creda, avrai comunque ragione!

Significa che ciò che crediamo di noi stessi ha un fortissimo impatto su come viviamo il nostro presente, su quello che otteniamo, e su quello che ci aspettiamo dal nostro futuro.

Ritornando alle 3 categorie descritte sopra, nella maggior parte dei casi succede che i “montati“, a furia di provarci e di sgomitare, e magari anche gonfiando il proprio curriculum e la propria preparazione, riescano ad ottenere l’agognato colloquio di selezione o a presentarsi come super-consulenti presso i singoli e presso le aziende. Certamente, il rischio che corrono è che il successo sia di breve durata, a meno che non siano tanto intelligenti da impegnarsi al massimo, una volta avuto l’incarico, e di “imparare facendo”.

I “disfattisti” , naturalmente, si sentono frustrati davanti al successo “immeritato” dei montati, ma al contempo sono bloccati dalla convinzione di non potersi vendere per ciò che non sono o non sanno fare…..e in questo modo si precludono non solo delle opportunità professionali, ma anche di apprendimento!

Ho scritto questo articolo proprio pensando a tutte le persone valide che non sfruttano appieno nè le proprie capacità attuali nè quelle potenziali, convinte come sono che il “mercato” non abbia bisogno di loro e/o di non essere all’altezza della “concorrenza”!

Perchè se è vero che esistono delle persone più preparate di loro e che spesso le aziende ricercano dei requisiti “impossibili” questo non significa che non esista il posto “giusto” per loro nell’azienda giusta! Il fatto è che se non sono loro a farsi avanti è probabile che non scoprano questa opportunità…o che venga loro “soffiata” da qualcun altro!

E anche nel caso in cui la meta professionale sembrasse molto lontana….ciò che non si può ottenere con un salto si può raggiungere salendo una scala! Tra un obiettivo “facile” ed uno “impossibile” c’è un continuum crescente di sotto-obiettivi che è assolutamente possibile raggiungere!

Per questo il modello di riferimento sono sicuramente i “costruttivi” che fanno un’analisi approfondita dei propri punti di forza e di debolezza, delle minacce e delle opportunità (per chi la conosce, si tratta del modello della SWOT Analysis) e stila un piano di azione per valorizzare le proprie qualità e per colmare le proprie mancanze (i cosiddetti gap), tracciando una serie di tappe intermedie che consentono di apprendere, consolidari prima di fare il passo successivo! Questo processo è possibile sia farlo da soli che con l’aiuto di un Coach di Carriera!

Consiglio di leggere anche l’articolo “Autostima, come possiamo aumentarla e credere di più in noi stessi“, per avere ulteriori strumenti per imparare a valorizzarsi!

 

 

Questo articolo ha un commento

  1. Max

    Articolo convincente quanto veritiero, se lei leggesse il mio CV si stupirebbe di quante cose so fare nel mio singolo “abito lavorativo” ( non ambito ma abito perché lavoro da quasi 35 anni nella stessa azienda e potrei dire che il mio lavoro me lo sono cucito addosso ), per quanto i miei colleghi esaltino il mio operato e professionisti esterni si affidino alla mia esperienza per stabilire le linee guida di intervento, dal canto mio considero le mie abilità come normale routine e non do loro il giusto valore che forse meriterebbero.
    E’ anche vero che spesso il mio lavoro non richiede alcun intervento, ma di solo supporto a volte nemmeno materiale ma morale tantè vero che spesso la soluzione altrui si trova già alla loro portata di mano, solo che o non la si vede o non si ha idea di farne uso, è chiaro che in tal caso non faccio altro che dare un suggerimento che può portare alla risoluzione del loro problema personale e di cui non ritengo giusto arrogarmene il merito, perciò se la soluzione è quella giusta la mia affermazione è e sarà sempre ” Anche stavolta siamo stati bravi ” perché giustamente il problema se lo hanno risolto loro mentre io ho fatto solo presenza a volte dando l’impressione di essere un “perditempo”.
    E’ chiaro che, da come le sto esponendo la banalità delle mie azioni e competenze potrei essere tranquillamente essere inserito nella categoria dei “disfattisti”, ma al contrario di qualcun’altro che per la prima volta monta un tassello a muro si definisce “un genio”, non posso considerarmi un “montato”.
    Non so nemmeno se possa definirmi “costruttivo” anche se spesso, analizzando il mio CV, ho pensato di stralciare parte delle abilità o competenze per renderlo per così dire un pò più a portata di mano o come qualcuno lo definirebbe più umano.
    Per quanto riguarda i cosiddetti “posti giusti” nelle aziende giuste secondo me è solo un’illusione soggettiva, il posto è giusto solo finché non ti arriva il montato di turno che oltre ad essere un imperfetto-imbecille-incapace ( ma molto bravo a fare il leccapiedi ) pretende pure di prevaricarti e di comandarti a bacchetta, lì nella tua relativa normalità ed equilibrio ambientale inizi a sentirti soffocare e l’unica soddisfazione di libertà la provi solo quando ti allontani definitivamente da quell’ambiente divenuto ormai velenoso.
    Secondo il mio parere la più grande frustrazione per chi attualmente è alla ricerca di lavoro è dovuta ai selezionatori delle varie agenzie i quali non sempre possiedono sufficiente competenza per stabilire se il candidato che hanno di fronte a loro sia la persona giusta da inserire nella giusta azienda, dove a parte qualche domanda di tipo tecnico di cui non hanno nemmeno idea di cosa stiano parlando cercano di sondare l’aspetto psicologico che in quel momento potrebbe non essere sufficientemente stabile per sostenere la prova

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